Mai più nella storia

Siamo nel 1972 e le Olimpiadi sono quelle di Monaco. Nella disciplina delle parallele asimmetriche la atleta russa Olga Valentinovna Korbut, vincitrice di 6 medaglie di cui 4 d’oro, affascinò il pubblico con una esibizione unica nella storia perché mai più ripetuta. Olga eseguì, in uscita, un salto mortale all’indietro stupefacente. Quella figura è stata subito vietata dalla federazione mondiale a causa dell’alta possibilità di riportare danni permanenti in caso di esecuzione non corretta.

Il dieci perfetto di Nadia Comaneci

NON ESULTÒ,
guardò quel tabellone perplessa: segnava 1.00 (uno punto zero, zero) il punteggio più basso nel range della ginnastica. Era soddisfatta del suo esercizio alle asimmetriche e non capiva come potesse essere precipitata così in fondo, forse un fallo o una irregolarità. Furono le sue compagne di squadra, neanche la allenatrice, a svelarle la verità e cioè che aveva rivoluzionato la intera storia della ginnastica olimpica.
Quel 1.00 in effetti significava altro. Quello che è passato alla storia come il 10,00 perfetto di Nadia Comaneci mai da nessuno raggiunto prima.
Un punteggio che mandò in tilt anche il sistema elettronico che gestiva i tabelloni che, proprio perché il 10,00 era considerato irragiungibile, era stato tarato sino al 9,95. E quindi dovettero inventarsi quella diavoleria di scrivere 1,00 per significare quell’incredibile 10,00.
Era il 18 luglio 1976 Olimpiadi di Montreal.

Giuseppe Mezzanotte

Si chiamava Giuseppe Mezzanotte nacque a Chieti il 29 luglio 1855 dove scomparve il 12 luglio 1935.
Proveniva da una delle più tradizionali famiglie della borghesia teatina fu da subito attratto dall’arte ma la sua prima inclinazione fu in realtà verso la pittura, alimentata dalla frequentazione dei giovani Francesco Paolo Michetti e Costantino Barbella. Ma si trattò solo una brevissima ed impercettibile parentesi.
Nel 1874 infatti si trasferì a Napoli per seguire i corsi di giurisprudenza.
Ma non si occupò solo di leggi e pandette.
Durante gli anni trascorsi nella città partenopea collaborò con uno dei giornali più importanti dell’epoca, il Corriere del Mattino, diretto da Martino Cafiero, dove conobbe giovani artisti quali Salvatore di Giacomo, Matilde Serao, Ferdinando Russo, Roberto Bracco, Amilcare Lauria, Nicola Misasi ed Edoardo Scarfoglio.
I suoi articoli, che spaziavano da argomenti di carattere letterario a quelli di interesse politico, apparvero insieme a numerose novelle anche in La Domenica Letteraria, Il Resto del Carlino, la Gazzetta Letteraria.
Ma dopo qualche tempo scoprì che la sua capacità narrativa dava i risultati migliori nel genere del romanzesco e fu così che nel 1884 esordì con “Checchina Vetromile”.
Nel 1886 sposò Flora De Virgilis, figlia dell’intellettuale Pasquale De Virgilis, che incoraggiò le sue passioni letterarie.
Nel 1887 fu la volta de “La tragedia di Senarica” che fu l’opera più famosa e rappresentativa della sua produzione accolta subito con grande favore dalla critica.
Sotto il nome di Senarica si nascondeva la sua Chieti e contrariamente a quanto asserito da Benedetto Croce in una recensione del romanzo, Senarica esiste ed è una piccola frazione del comune di Crognaleto in provincia di Teramo.
Dopo la parentesi partenopea tornò a Chieti dove prese ad insegnare e poi a dirigere la Scuola tecnica “Chiarini”.
Nella sua città, continuò a scrivere, per giornali locali, novelle e romanzi e tornò a frequentare gli amici Michetti e Barbella e, tramite loro, Gabriele D’Annunzio e Francesco Paolo Tosti.
In famiglia non c’erano eredi maschi perché i suoi tre cugini Luigi, Camillo e Biase non avevano figli, mentre Giuseppe ebbe tre figlie Regina, Maria Giuseppina e infine Raimonda. Tutte ereditarono dal padre la passione per la pittura e divennero artiste di talento, apprezzate nell’ambiente futurista, ma Raimonda fu quella di maggior talento, allieva prediletta di Michetti, fu peraltro anche fidanzata, per un breve periodo, con Filippo Tommaso Marinetti,
Nel 1909 e nel 1911 pubblicò altri due romanzi, rispettivamente, “Il tessuto di Finzioni” e “L’erede”, di chiara ispirazione autobiografica.
Passò gli ultimi anni della sua vita continuando a lavorare.
Lasciò varie opere inedite, di cui alcune saranno pubblicate postume: le novelle di “I racconti di Samuele Weller”, di ispirazione dickensiana, ed il romanzo “Serrata di Pian d’Avenna”, da cui trarrà anche una sceneggiatura per il cinema.
Alla prima della “Figlia di Iorio” di D’Annunzio, a Chieti, partecipò con la moglie Flora, donna di straordinaria bellezza, e qui incontrò tutti gli amici intellettuali dell’epoca.
In segno di omaggio alla bella Flora molti da Matilde Serao a Roberto Bracco allo stesso D’Annunzio scrissero un dedica autografa sul suo ventaglio.
Questo scrittore era il mio bisnonno e la figlia Raimonda pittrice di successo era la mia nonna materna.
Quel ventaglio è in mio possesso.

 

Il pendolo di Facault

Il Pendolo di Faucault, così chiamato in onore del fisico francese Jean Bernard Léon Foucault, è un marchingegno concepito per dimostrare la rotazione della Terra attraverso l’effetto della forza di Coriolis.

Il primo esemplare fu presentato proprio da Facault al pubblico oggi, ma nel 1851, ed era costituito da una sfera di 30 kg sospesa alla cupola del Pantheon.

Ad ogni latitudine della Terra, tranne che lungo la linea dell’equatore, si osserva che il piano di oscillazione del pendolo ruota lentamente.

Al Polo Nord e al Polo Sud la rotazione avviene in un giorno siderale.in accordo con la legge del moto di Newton.
La rotazione avviene in senso orario nell’emisfero boreale e in senso antiorario nell’emisfero australe. Il concetto può essere difficile da comprendere a fondo, ma ha portato Foucault a ideare nel 1852 il giroscopio.

L’asse del rotore del giroscopio segue sempre le stelle fisse; il suo asse di rotazione appare ruotare sempre una volta al giorno a qualunque latitudine.

Ma questo apparecchio di sperimentazione fisica, il cui nome è stato usato anche per dibattere sull’inauspicata natura molliccia del simbolo distintivo della mascolinità è anche il titolo del più bel romanzo di Umberto Eco.

È il suo secondo romanzo ed è ambientato nei primi anni della vita dello scrittore di Alessandria, arrivando ai primi anni ottanta.

Il pendolo di Foucault è suddiviso in dieci segmenti che rappresentano le dieci Sephirot.

Il romanzo è ricco di citazioni esoteriche alla Cabala, all’alchimia e alla teoria del complotto.

Casaubon, l’io narrante, è dapprima studente e poi giovane professionista dell’editoria a Milano.

Attraverso una serie di eventi, trova nel mito dei Cavalieri templari la sua vera ragion d’essere culturale e professionale. Da tale mito tuttavia si diramano una serie di filoni che corrispondono alla parte più occulta o a quella più reietta della cosiddetta civiltà occidentale.

Eco evita questa insidia senza soffermarsi sul mistero storico che ha circondato i Cavalieri templari. Non ne fa un lavoro escatologico, concentrandosi piuttosto nel grande lavoro descrittivo attraverso la narrazione di Casaubon e Belbo.

Il libro è molto di più di una fiction erudita per palati fini. E un’opera iniziatica capace di mettere insieme templari, cabala, illuminati, legionari filonazisti, aristocratici e massoni, senza mai essere ridicola o grottesca.

Richiami filosofici, storici, biblici, classici, rinascimentali, esoterici o contemporaneissimi e molto tecnici, sono continui e talmente sottili da lasciare disorientati e sconcertati.

Il fitto ricamo di saperi, tanto specialistici e arcani quanto fascinatori e seduttivi lascia il lettore, al compimento dell’ultima pagina, con la sensazione di saperne molto di più su una parte del sapere che nessuna scuola ha mai raccontato.

Le idi di Marzo: Giulio Cesare

La corona d’alloro la portava sempre, forse anche al mattino sul pensatoio. Lo narra Svetonio che ce lo descrive, novello maniaco del fitness, dedito ai limiti del fanatismo alla cura della bellezza del corpo. Ossessionato dalla incipiente calvizie cercava di mascherarla con improbabili riporti a loro volta mascherati, e tenuti su, dalla corona del trionfo.
La storia, nella sua ossessione di somigliare ad un fantasy nel quale si celebra una eterna guerra tra il bene ed il male, ce lo passa tra i buoni, e di converso colloca tra i cattivi i suoi nemici, a partire da Pompeo per finire a Bruto e Cassio.
Per poi scoprire che, nella irresistibile ascesa della sua fulminante carriera tra i principi del foro romano, aveva ispirato e partecipato alla preparazione delle due congiure di Catilina, defilandosi abilmente all’ultimo momento, o che la sua elezione a Pontefice Massimo nel 63 a.C. fu dovuta ad una vera e propria compra di voti tra i cittadini romani, pagata voto per voto con copioso denaro sonante.
Espanse il dominio di Roma oltre le Gallie fino ad alcuni territori della Britannia, frenato poi dalla resistenza dei druidi e a sud e ad est nelle terre africane e in quelle che un tempo furono la culla di Alessandro Magno.
Questo bastò e farne un amatissimo dio tra il populus romanus. Il consenso della masse, che non si scalfì neanche in occasione delle concupiscienti relazioni con le bellezze egizie, accrebbe la sua convinzione di essere predestinato a sedere sullo scranno più alto di Roma, e su quello che era diventato già un vasto dominio.
I suoi avversari divennero nemici e furono eliminati perchè considerati intralcio alla sua ascesa e alla sua azione di “miglior governante di Roma allora esistente”.
Demolì il triumvirato e, dopo la sfida lanciata al senato con il varco del Rubicone e il “bellum civile”, fu esclusivamente per la la grande prova di forza militare che ottenne la nomina a dittatore scaturita, infine nel 44 a.C, in quella perpetua di dittatore a vita. Aveva raggiunto il totale dominio su Roma, ma non gli bastava. La sua ambizione (secondo moltissimi storici specie di tradizione britannica) era quella di vedere posata sul suo capo la corona reale. Quest’ultimo atto, che avrebbe sancito anche nella simbologia dopo cinquecento anni di storia la fine della Res Publica romana, fu la goccia che fece traboccare il vaso.
I cattivi Bruto e Cassio, alla guida di una pattuglia di senatori, lo uccisero nella culla della democrazia romana.
Ma Gaio Giulio Cesare aveva ormai tracciato un profondo solco nel quale si inserì Ottaviano che completò l’opera demolendo definitivamente, dopo 500 anni, la repubblica e la democrazia romana, aprendo definitivamente le porte all’assolutismo dell’impero.
Giambattisa Vico parla di corsi e ricorsi storici e se proviamo a collocare quei fatti nella nostra epoca vediamo che forse qualcosa è già successo.
Nei primi anni ’90 l’azione giudiziaria demolisce la prima repubblica, che guarda caso viveva da 50 anni (manca uno zero per fare 500), e con essa il sistema dei partiti, vero volano della democrazia.
Irrompono nella politica personaggi che si sentono predestinati. Iniziano a spostare l’asse gravitazionale dal partito al leader e a considerare questi non più un centro di dialettica democratica, fondata sulle ideologie, in cui il leader è funzionale all’ascesa del partito, ma delle vere e proprie organizzazioni multi-level eaclusivamente funzionali all’ascesa del leader.
Il sistema costituzionale, che regola il funzionamento del parlamento, diventa un legaccio, i partiti piccoli sono un intralcio, ed i parlamentari troppo autonomi. Una somma di ostacoli che limitano l’azione di governo del premier il quale, nella auto celebrazione di predestinato alla guida del paese, comincia a coltivare il teorema dell’uomo solo al comando.
Ed ecco che vengono abolite le preferenze ed il parlamento diventa una pletora di nominati, asserviti ai leader che li scelgono.
Il sistema elettorale viene modificato nel tentativo di cancellare i partiti piccoli e giungere al bipartitismo. Si tentano riforme costituzionali per limitare l’azione del parlamento. Si comincia a pensare (e poi ci si riesce) di abbattere il numero dei parlamentari o abolire una delle due camere per aumentare il potere del governo e del premier.
Non far disturbare il manovratore. Questo è lo slogan. Un vero e proprio disegno per mettere in piedi un processo di demolazione delle garanzie costituzionali e dei pesi e contrappesi politici con il fine di racchiudere nelle mani di un solo uomo il potere assoluto.
Non è stato solo frutto dell’ambizione di un “uno”. C’è stata anche la complicità degli avversari che sognavano di fare quello che voleva fare “l’uno” al posto de “l’uno”.
Rispetto a due millenni fa sono mancate le guerre, le uccisioni. Ma oggi non vanno più di moda. Troppe analogie raccontano che i disegni erano gli stessi o quantomeno simili e i metodi, gli argomenti, la propaganda, le demagogie erano assolutamente identiche.
Oggi come allora una democrazia repubblicana balbettante, incerta nei suoi meccanismi di scelta dei governanti, incapace di assicurare una stabilità di governo, ferita dagli scandali, cede i suoi spazi all’assolutismo dell’uomo solo al comando, con la compiacenza esasperata del popolo.
Allora il processo si completò.
Oggi siamo solo agli inizi ?
Magari Vico saprebbe risponderci.
Una cosa è certa: nella storia, bene e male e buoni e cattivi sono solo un punto di vista.

La merla di Persefone

La colpa fu di Persefone o Proserpina, che era troppo bella.
Di essa si invaghì Ade, o Plutone, il dio dei morti, e la rapì, portandola con sé appunto nell’Ade, o regno degli inferi.
Demetra (o Cerere), la dea del raccolto, afflitta dalla tristezza di aver perduto la figlia portò, per rabbia o disperazione o forse vendetta, autunno e inverno, che provocava all’epoca anche pesanti carestie.
Ade ben consapevole della infelicità di Persefone, costretta a vivere nel lugubre regno del dolore e della morte, la costrinse a mangiare dei chicchi di melograno.
Per una eterna legge del destino era stabilito che quella sposa che avesse mangiato, nella casa del marito, alcuni chicchi di questo frutto non avrebbe più abbandonato il suo talamo e, pur se si fosse riuscita ad allontanare, presto vi avrebbe fatto ritorno.
E infatti Persefone riuscì a sfuggire alla sorveglianza di Ade, per tornare da Demetra, ma potette restare con la madre solo per poco tempo perché attratta dall’incantesimo del melograno che la costringeva a tornare nell’Ade.
Zeus (o Giove) che era un saggio onde chetare la disputa stabilì che Persefone avrebbe vissuto mezzo anno con la madre e mezzo anno con Ade.
E fu così che Demetra, quando trascorrevano i mesi in cui mancava della figlia, condannava la terra al freddo e al gelo e quando sopraggiungeva Persefone donava agli uomini il caldo della primavera e dell’estate.
Quando arrivava l’epoca in cui Persefone stava per raggiungere la madre si faceva precedere, con un ampio anticipo, da una merla che preannunciava il suo arrivo.
All’epoca gli uccelli erano visti dagli antichi come messaggeri degli dei.
Il sopraggiungere del nero volatile avrebbe avvisato Demetra di cessare i rigori dell’inverno e pian piano di stiepidire l’aria per i fasti della primavera.
A questa leggenda se ne accoppia un’altra che vuole che se nei giorni della merla la temperatura sarà mite allora l’inverno durerà a lungo, se invece saranno giornate fredde l’arrivo di Persefone sarà vicino e con essa i tepori della primavera.
Ecco perché i freddi degli ultimi giorni di gennaio, che sono considerati anche gli ultimi, si chiamano i giorni della merla.

AMANTINE, AURORE, LUCILE DUPIN

donna di grande personalità ha caratterizzato la storia europea dell’Ottocento.
Scrittrice, drammaturga e sceneggiattrice di successo ha prodotto 143 romanzi, 24 commedie e 34 opere teatrali.
Bellissima e molto affascinante ha amato ed è stata amata da De Musset e da Chopin.
Ha vissuto in tutta l’Europa nella quale ha lasciato il segno indelebile della sua arte.
Aderì al socialismo umanitario di Proudhon e sostenne le svolte repubblicane della metà dell’Ottocento francese. Si distinse con convinzione dal socialismo scientifico di Marx.
Nei primi anni dell’Ottocento per entrare nel mondo della cultura letteraria francese si vestiva da uomo, abitudine che ha conservato anche successivamente quando ormai, divenuta un pilastro della letteratura europea, non era più necessario anche per la rapida caduta dei pregiudizi sociali nei confronti delle donne. Si vestiva da uomo e si faceva chiamare con un nome maschile.
Era George Sand.

R.S.M.

Fu uno scalpellino dalmata, fuggito dall’isola di Arbe per salvarsi dalle persecuzioni dei cristiani ad opera dell’Imperatore Diocleziano, che fondò una comunità sulla vetta aspra di quel monte.
Era il 3 settembre del 301 d.C. e da quel giorno quel piccolo borgo iniziò il suo lungo e singolare cammino nel tempo.
“Relinquo vos liberos ab utroque homine” disse il tagliapietre quando, ormai vecchio, si stava apprestando ad attraversare lo Stige: “Vi lascio liberi da entrambi gli uomini”.
Quel testamento spirituale, che poteva ai più apparire banale, fu il marchio che caratterizzò i suoi circa duemila anni di storia.
Più volte sia il Papa che l’Imperatore, i due uomini, cercarono di soffocarne l’identità ma invano.
Eppure era una comunità così piccola che non le possenti armate di quei tempi, ma un semplice battaglione sarebbe stato sufficiente a ridurre in cattività.
“Nemini teneri” fu il suo motto: “Non dipendere da nessuno”.
Scorsero i secoli e quella piccola e tenace comunità si diede i primi organi di autogoverno.
Era l’Arengo, la assemblea dei capifamiglia.
Non ebbe Re, tantomeno Imperatori. Fu il primo rudimento di uno Stato Parlamentare.
La guidavano due consoli, oggi chiamati “capitani” eletti dall’Arengo solo ogni sei mesi.
Cominciarono sin da allora a fare capolino nella sua storia, e nella storia dell’umanità, due concetti che sembrano molto moderni ma che, in realtà, furono scalfiti su quel monte molti secoli prima che facessero conoscenza con il resto del pianeta: democrazia e repubblica.
Non passò molto tempo dalla sua fondazione prima che quella piccola comunità divenisse uno Stato.
Piccolino, quasi insignificante sulla mappa del pianeta, ma talmente forte da essere riuscito, sino ad oggi, a mantenere la sua indipendenza e a diventare, sempre arroccato sulla vetta di quel monte, il più celebre del mondo.
Quel monte si chiama il Titano, e quello scalpellino che lo fondò si chiamava Marino, divenuto poi santo e voi conoscete quel piccolo Stato come la Serenissima Repubblica di San Marino, la più antica del mondo.
Il 17 novembre del 1956 vi nacque un certo Massimo Carugno che voi dovreste conoscere bene.

SECONDINO TRANQUILLI

Scrittore, saggista, letterato di grande spessore e profondità culturale sì da essere candidato per ben dieci volta al Nobel. Fu anche un pensatore politico di grande rilievo e parlamentare nella Costituente.
Il suo percorso ideologico è un cammino che dovrebbe essere da insegnamento per le nuove generazioni della politica italian.
Fu uno degli ispiratori della nascita dell’area culturale e politica del socialismo italiano.
Poi nel 1921, a Livorno, seguì Bordiga e divenne, nel PCI, l’uomo degli esteri, approdando a Mosca dove coltivò i rapporti con la nomenklatura sovietica.
Nel 1930 ampie riflessioni sulla realtà comunista lo riportarono a casa, nella famiglia socialista.
Nel 1947 all’interno del PSI abbracciò l’autonomismo sfidando Nenni e schierandosi contro la scelta filocomunista del “fronte popolare”.
Nei suoi ultimi anni sposò le idee socialdemocratiche saragattiane acuendo la distanza che lo divideva dal mondo comunista che lo portò a vederlo incompatibile con il pensiero socialista.
Di lui ci resta l’affresco meraviglioso delle terre d’Abruzzo nel quale narra la straordinaria umanità della sua gente aspramente condita dalla miseria nella quale viveva.
Ma il saldo del destino fu ingrato e, nell’ultimo atto politico della sua vita, Pescina, dove era nato e alla quale aveva donato la ricchezza delle sue narrazioni, gli lasciò una misera  manciata di voti.
Era il 1953 e non fu eletto deputato nel P.S.D.I. di Saragat.
Quel ripudio della sua gente lo allontanò definitivamente dalla politica attiva.
Muore il 22 agosto del 1978 a Ginevra.
Voi lo conoscete con il nome di Ignazio Silone.

EDDA VAN HEEMSTRA

aveva solo 11 anni quando i tedeschi occuparono la cittadina olandese di Arnhem, dove viveva con la mamma.
Il padre Joseph Anthony Ruston era britannico e aveva da qualche anno già divorziato dalla moglie e abbandonato la famiglia.
Tra le cause ci furono anche le sue simpatie per i nazisti.
Non era il suo vero nome e aveva adottato il cognome della mamma in luogo di Audrey Kathleen Ruston, che aveva abbandonato per il suo suono pericolosamente britannico.
Edda faceva studi di danza e si recava a ballare in eventi clandestini per finanziare il movimento di resistenza alla occupazione nazista.
La famiglia del padre aveva origini altamente aristocratiche ed aveva tra gli ascendenti il Re Edoardo III.
Durante l’occupazione, specie dopo lo sbarco in Normandia, la pressione dei tedeschi si fece ancora più crudele e lei soffrì di malnutrizione per le confische di derrate alimentari. Nonostante ciò, sebbene giovane adolescente, si offrì di fare da staffetta tra le linee di guerra per la consegna di messaggi segreti alla forze partigiane olandesi e, dopo lo sbarco, anche alle forze alleate.
Alla fine della guerra era un giovane scricciolo, fragile per le sofferenze subite.
Nel ‘48 ritornò con la mamma a Londra dove proseguì gli studi di danza con la celebre maestra Marie Rambert. Dopo qualche tempo però la dissuase dal proseguire a causa della sua altezza di 1,67 e per la fragilità derivata dalla malnutrizione patita, sebbene la ragazza avesse delle indubbie ed eccellenti doti recitative.
La sua carriera di attrice iniziò con un documentario educativo: Nederlands in zeven lessen (L’olandese in 7 lezioni).
Ma il suo vero esordio, dopo alcune comparsate cinematografiche, fu nel 1951.
Durante le riprese del film Vacanze a Montecarlo, la scrittrice Colette, il cui romanzo Gigi era stato trasformato in una commedia per Broadway, la notò per la sua bravura e per la sua eleganza e la scelse per interpretare proprio la parte della protagonista.
La commedia riscosse un discreto successo di critica e la sua interpretazione moltissime lodi.
Ma nessuno poteva prevedere che da quel momento stava prendendo l’avvio la carriera di una delle più straordinarie attrici della storia del cinema mondiale.
Vacanze Romane, Sabrina, Colazione da Tiffany, Sciarada, My fair lady, Due per la strada, fu la sequenza dei suoi film più noti.
Fu subito vista come l’emblema del fascino e dello stile, lo stilista Givenchy la definì una delle donne più eleganti del mondo.
Vinse il primo Oscar già al suo esordio con Vacanze Romane a cui seguirono una valanga di premi: 2 golde Globe, 3 David di Donatello, 1 Grammy e 1 Emmy.
Negli anni Settanta abbandonò gradualmente il mondo del cinema per dedicarsi ad attività umanitarie.
Fu nominata ambasciatrice dell’Unicef e furono numerosissime le missioni in Africa in aiuto alle comunità di bambini sofferenti per fame o malattia.
È stata indiscutibilmente una delle attrici di maggior fascino ed eleganza mai esistite ed ha segnato la storia del cinema per essere stata giustamente considerata il simbolo della classe nel mondo della donna.
Agli inizi della sua carriera cinematrografica aveva assunto il cognome della nonna paterna e voi l’avete conosciuta con il nome di Audrey Hepburn.
P.S. Audrey, Whitney…chissà perchè le donne di cui mi innamoro hanno tutte il nome che finisce in “ey”.