Siamo nel 1972 e le Olimpiadi sono quelle di Monaco. Nella disciplina delle parallele asimmetriche la atleta russa Olga Valentinovna Korbut, vincitrice di 6 medaglie di cui 4 d’oro, affascinò il pubblico con una esibizione unica nella storia perché mai più ripetuta. Olga eseguì, in uscita, un salto mortale all’indietro stupefacente. Quella figura è stata subito vietata dalla federazione mondiale a causa dell’alta possibilità di riportare danni permanenti in caso di esecuzione non corretta.
Il dieci perfetto di Nadia Comaneci
Giuseppe Mezzanotte
Si chiamava Giuseppe Mezzanotte nacque a Chieti il 29 luglio 1855 dove scomparve il 12 luglio 1935.
Proveniva da una delle più tradizionali famiglie della borghesia teatina fu da subito attratto dall’arte ma la sua prima inclinazione fu in realtà verso la pittura, alimentata dalla frequentazione dei giovani Francesco Paolo Michetti e Costantino Barbella. Ma si trattò solo una brevissima ed impercettibile parentesi.
Nel 1874 infatti si trasferì a Napoli per seguire i corsi di giurisprudenza.
Ma non si occupò solo di leggi e pandette.
Durante gli anni trascorsi nella città partenopea collaborò con uno dei giornali più importanti dell’epoca, il Corriere del Mattino, diretto da Martino Cafiero, dove conobbe giovani artisti quali Salvatore di Giacomo, Matilde Serao, Ferdinando Russo, Roberto Bracco, Amilcare Lauria, Nicola Misasi ed Edoardo Scarfoglio.
I suoi articoli, che spaziavano da argomenti di carattere letterario a quelli di interesse politico, apparvero insieme a numerose novelle anche in La Domenica Letteraria, Il Resto del Carlino, la Gazzetta Letteraria.
Ma dopo qualche tempo scoprì che la sua capacità narrativa dava i risultati migliori nel genere del romanzesco e fu così che nel 1884 esordì con “Checchina Vetromile”.
Nel 1886 sposò Flora De Virgilis, figlia dell’intellettuale Pasquale De Virgilis, che incoraggiò le sue passioni letterarie.
Nel 1887 fu la volta de “La tragedia di Senarica” che fu l’opera più famosa e rappresentativa della sua produzione accolta subito con grande favore dalla critica.
Sotto il nome di Senarica si nascondeva la sua Chieti e contrariamente a quanto asserito da Benedetto Croce in una recensione del romanzo, Senarica esiste ed è una piccola frazione del comune di Crognaleto in provincia di Teramo.
Dopo la parentesi partenopea tornò a Chieti dove prese ad insegnare e poi a dirigere la Scuola tecnica “Chiarini”.
Nella sua città, continuò a scrivere, per giornali locali, novelle e romanzi e tornò a frequentare gli amici Michetti e Barbella e, tramite loro, Gabriele D’Annunzio e Francesco Paolo Tosti.
In famiglia non c’erano eredi maschi perché i suoi tre cugini Luigi, Camillo e Biase non avevano figli, mentre Giuseppe ebbe tre figlie Regina, Maria Giuseppina e infine Raimonda. Tutte ereditarono dal padre la passione per la pittura e divennero artiste di talento, apprezzate nell’ambiente futurista, ma Raimonda fu quella di maggior talento, allieva prediletta di Michetti, fu peraltro anche fidanzata, per un breve periodo, con Filippo Tommaso Marinetti,
Nel 1909 e nel 1911 pubblicò altri due romanzi, rispettivamente, “Il tessuto di Finzioni” e “L’erede”, di chiara ispirazione autobiografica.
Passò gli ultimi anni della sua vita continuando a lavorare.
Lasciò varie opere inedite, di cui alcune saranno pubblicate postume: le novelle di “I racconti di Samuele Weller”, di ispirazione dickensiana, ed il romanzo “Serrata di Pian d’Avenna”, da cui trarrà anche una sceneggiatura per il cinema.
Alla prima della “Figlia di Iorio” di D’Annunzio, a Chieti, partecipò con la moglie Flora, donna di straordinaria bellezza, e qui incontrò tutti gli amici intellettuali dell’epoca.
In segno di omaggio alla bella Flora molti da Matilde Serao a Roberto Bracco allo stesso D’Annunzio scrissero un dedica autografa sul suo ventaglio.
Questo scrittore era il mio bisnonno e la figlia Raimonda pittrice di successo era la mia nonna materna.
Quel ventaglio è in mio possesso.
Il pendolo di Facault
Il Pendolo di Faucault, così chiamato in onore del fisico francese Jean Bernard Léon Foucault, è un marchingegno concepito per dimostrare la rotazione della Terra attraverso l’effetto della forza di Coriolis.
Il primo esemplare fu presentato proprio da Facault al pubblico oggi, ma nel 1851, ed era costituito da una sfera di 30 kg sospesa alla cupola del Pantheon.
Ad ogni latitudine della Terra, tranne che lungo la linea dell’equatore, si osserva che il piano di oscillazione del pendolo ruota lentamente.
Al Polo Nord e al Polo Sud la rotazione avviene in un giorno siderale.in accordo con la legge del moto di Newton.
La rotazione avviene in senso orario nell’emisfero boreale e in senso antiorario nell’emisfero australe. Il concetto può essere difficile da comprendere a fondo, ma ha portato Foucault a ideare nel 1852 il giroscopio.
L’asse del rotore del giroscopio segue sempre le stelle fisse; il suo asse di rotazione appare ruotare sempre una volta al giorno a qualunque latitudine.
Ma questo apparecchio di sperimentazione fisica, il cui nome è stato usato anche per dibattere sull’inauspicata natura molliccia del simbolo distintivo della mascolinità è anche il titolo del più bel romanzo di Umberto Eco.
È il suo secondo romanzo ed è ambientato nei primi anni della vita dello scrittore di Alessandria, arrivando ai primi anni ottanta.
Il pendolo di Foucault è suddiviso in dieci segmenti che rappresentano le dieci Sephirot.
Il romanzo è ricco di citazioni esoteriche alla Cabala, all’alchimia e alla teoria del complotto.
Casaubon, l’io narrante, è dapprima studente e poi giovane professionista dell’editoria a Milano.
Attraverso una serie di eventi, trova nel mito dei Cavalieri templari la sua vera ragion d’essere culturale e professionale. Da tale mito tuttavia si diramano una serie di filoni che corrispondono alla parte più occulta o a quella più reietta della cosiddetta civiltà occidentale.
Eco evita questa insidia senza soffermarsi sul mistero storico che ha circondato i Cavalieri templari. Non ne fa un lavoro escatologico, concentrandosi piuttosto nel grande lavoro descrittivo attraverso la narrazione di Casaubon e Belbo.
Il libro è molto di più di una fiction erudita per palati fini. E un’opera iniziatica capace di mettere insieme templari, cabala, illuminati, legionari filonazisti, aristocratici e massoni, senza mai essere ridicola o grottesca.
Richiami filosofici, storici, biblici, classici, rinascimentali, esoterici o contemporaneissimi e molto tecnici, sono continui e talmente sottili da lasciare disorientati e sconcertati.
Il fitto ricamo di saperi, tanto specialistici e arcani quanto fascinatori e seduttivi lascia il lettore, al compimento dell’ultima pagina, con la sensazione di saperne molto di più su una parte del sapere che nessuna scuola ha mai raccontato.
Le idi di Marzo: Giulio Cesare
La merla di Persefone
La colpa fu di Persefone o Proserpina, che era troppo bella.
Di essa si invaghì Ade, o Plutone, il dio dei morti, e la rapì, portandola con sé appunto nell’Ade, o regno degli inferi.
Demetra (o Cerere), la dea del raccolto, afflitta dalla tristezza di aver perduto la figlia portò, per rabbia o disperazione o forse vendetta, autunno e inverno, che provocava all’epoca anche pesanti carestie.
Ade ben consapevole della infelicità di Persefone, costretta a vivere nel lugubre regno del dolore e della morte, la costrinse a mangiare dei chicchi di melograno.
Per una eterna legge del destino era stabilito che quella sposa che avesse mangiato, nella casa del marito, alcuni chicchi di questo frutto non avrebbe più abbandonato il suo talamo e, pur se si fosse riuscita ad allontanare, presto vi avrebbe fatto ritorno.
E infatti Persefone riuscì a sfuggire alla sorveglianza di Ade, per tornare da Demetra, ma potette restare con la madre solo per poco tempo perché attratta dall’incantesimo del melograno che la costringeva a tornare nell’Ade.
Zeus (o Giove) che era un saggio onde chetare la disputa stabilì che Persefone avrebbe vissuto mezzo anno con la madre e mezzo anno con Ade.
E fu così che Demetra, quando trascorrevano i mesi in cui mancava della figlia, condannava la terra al freddo e al gelo e quando sopraggiungeva Persefone donava agli uomini il caldo della primavera e dell’estate.
Quando arrivava l’epoca in cui Persefone stava per raggiungere la madre si faceva precedere, con un ampio anticipo, da una merla che preannunciava il suo arrivo.
All’epoca gli uccelli erano visti dagli antichi come messaggeri degli dei.
Il sopraggiungere del nero volatile avrebbe avvisato Demetra di cessare i rigori dell’inverno e pian piano di stiepidire l’aria per i fasti della primavera.
A questa leggenda se ne accoppia un’altra che vuole che se nei giorni della merla la temperatura sarà mite allora l’inverno durerà a lungo, se invece saranno giornate fredde l’arrivo di Persefone sarà vicino e con essa i tepori della primavera.
Ecco perché i freddi degli ultimi giorni di gennaio, che sono considerati anche gli ultimi, si chiamano i giorni della merla.