(il video è tratto dal seguente indirizzo you tube: https://youtu.be/KD_1Z8iUDho)
LE TRIANGOLAZIONI DEL PENSIERO
Il 5 maggio del 1821 muore a S.Elena Napoleone. Lo stesso giorno di tre anni prima, nel 1818, nasce a Treviri Karl Marx.
A parte tale coincidenza, ai più sembra che tra i due non vi sia alcun punto di contatto. Né storica, né culturale, tantomeno ideologica.
È chiaro che addentrarsi in una disamina delle enormi complessità che si celano nelle pieghe delle vite del fondatore dell’impero e del padre del comunismo è un lavoro immane, a fare il quale non sono neanche certo di essere all’altezza. Cionondimeno qualche piccolo sfizio, nel lanciarci in spericolate acrobazie sul trapezio della cultura sperimentale, possiamo togliercelo.
Non è vero che i due ragazzi non ebbero un qualcosa che li avvicinasse, un fil rouge che in qualche modo rappresentasse un piccolo legame che li mettesse in contatto.
Il suo nome era Giorgio Guglielmo Federico Hegel, nato a Stoccarda il 27 agosto 1770, padre dell’idealismo, fonte di pensiero dal quale è nata tutta la filosofia moderna sia di destra che di sinistra dalla quale, a sua volta, sono state generate le principali ideologie che hanno governato la politica del XX secolo.
Insomma il più grande filosofo dell’era moderna.
Hegel su Napoleone si esprimeva così: “I professori tedeschi di diritto pubblico non tralasciano di scrivere una quantità di opere sul concetto di sovranità e sul significato degli atti della Confederazione (del Reno). Ma il più grande professore di diritto pubblico risiede a Parigi”.
La più importante opera di Hegel, la “La feomenologia dello spirito”, ha al suo centro l’imperatore di Ajaccio. L’opera Hegeliana, che viene universalmente considerata la “bibbia” di tutto quel che venne dopo, è totalmente ispirata alla figura di uomo di stato di Napoleone. La leggenda vuole sia stata completata dal filosofo proprio la notte della battaglia di Jena.
Vi chiederete come si arriva da tutto questo al padre del Comunismo.
Ci arriviamo.
Il capitolo centrale della summa Hegeliana è centrato sul superamento, da parte della rivoluzione francese, del vecchio ordine e sul conseguente superamento del sistema rivoluzionario da parte del nuovo ordine napoleonico.
Insomma una triangolazione a tutti gli effetti.
Attraverso il terrore rivoluzionario, l’uomo raggiunge finalmente la sintesi finale che lo appaga definitivamente.
Orbene tale parte della “Fenomenologia” ebbe anche tanta influenza sul giovane Marx il quale, inutile a dirlo, era nei primi anni un Hegeliano convinto. Successivamente pur aprendo il suo pensiero ad una forma di criticismo nei confronti del padre dell’idealismo, riguardo per esempio al concetto di “religione della proprietà privata”, non rinuncia a riconoscerne grandi meriti.
Se nel complesso la critica marxiana verte soprattutto sul rapporto tra società civile e Stato, il merito di Hegel, secondo Marx, è quello di avere concesso spazio alla società civile, differenziandola dalla società politica che si incarnava nello Stato.
Non vi sfuggirà da queste poche e povere righe che c’è tanto Hegel in Marx, ma c’è anche tanto Napoleone in Hegel.
Ed ecco che quel fil rouge di cui vi parlavo vien fuori alla distanza e partendo da un dito dell’Empereur, fa un doppio giro attorno alla vita di Hegel, per finire nella mano di Karletto.
C’est la vie.
1968
A Parigi gli studenti occupano l’università della Sorbona per protesta contro la chiusura dell’università a Nanterre e l’espulsione di molti colleghi.
La decisione fu presa dopo mesi di scontri nel paese avviati il 22 marzo. L’occupazione segnò l’inizio del periodo di rivolta studentesca detto anche “sessantotto”.
Era la notte tra il 3 e il 4 maggio e da quel momento si avviò l’unica vera rivoluzione nella storia che ha stravolto i modelli culturali della società, non potendo a ciò le rivoluzioni più note e celebrate.
Non fu solo una questione di look.
Non si trattò solo di passare dalle gonne a balza alle mini super mini, o dalla brillantina e dai cravattini ai capelli lunghi ed ai sandali sotto i jeans. All’improvviso fecero irruzione, nei giovani e nella societa, concetti ed idee che fino ad allora erano stati dei tabù.
Sarebbe facile puntare l’indice verso l’amore libero, ma anche il concetto di pace e non violenza, fratellanza ed equità furono valori a modo loro rivoluzionari per quegli anni. Sebbene ne avesse cominciato a parlare duemila anni prima un predicatore palestinese.
Vive la revolution.
THE STARS SPANGLED BANNER
è l’inno nazionale statunitense, il national anthem.
A differenza nostra gli anglosassoni hanno un forte senso della identità nazionale e un sacrale rispetto per le istituzioni e i simboli che le rappresentano.
Una delle colpe che il presidente con i capelli gialli pagherà per tutta la vita è proprio l’attacco dissacrante alle istituzioni, i giorni successivi allo spoglio elettorale, e l’assalto delle sue orde animalesche al Campidoglio con i piedi sulle scrivanie e le bandiere usate a mo’ di tovagliolo.
Un vilipendio alle istituzioni che il popolo americano non gli perdonerà mai.
Forse noi non riusciremo mai a capire la profondità di questo senso civico ma del resto è proprio in Italia che nelle aule parlamentari energumeni chiamati deputati hanno introdotto scatolette di tonno, cartelli da stadio e magliette da isola dei famosi, insomma roba da III C in gita scolastica. Ma non c’è da stupirsi.
Negli U.S.A. invece è diverso e tra i simboli sacri del popolo americano c’è ovviamente l’inno nazionale.
E così come noi lo cantiamo in piedi e con il dovuto rispetto solo allo stadio, sbeffeggiandolo o fregandocene altamente, invece, se lo ascoltiamo mentre stiamo al bar, oltre oceano quando suona l’inno, ovunque succeda e con chiunque sia presente, è sempre un momento di composta solennità o profonda emozione.
Non è estraneo a tutto ciò il mondo della musica e quando un cantante viene invitato a interpretare l’inno a uno degii eventi sportivi di spicco, qual’è per esempio il superbowl, l’emozione è quasi più grande di quella di vincere un Grammy.
Anche perchè l’inno U.s.a. è difficilissimo e mette a dura a prova le capacità di qualunque star della canzone per il salto di 2 ottave che c’è nella sua partitura.
Gli americani amano fare le classifiche su tutto, anche su quale gomma da masticare si appiccica più fortemente all’asfalto, e ovviamente ci sono tante classifiche sulle migliori interpretazioni del National anthem al Superbowl.
https://nypost.com/article/the-10-best-super-bowl-national-anthem-performances/
https://www.rollingstone.com/music/music-lists/super-bowl-national-anthems-whitney-houson-10706/
A distanza di trenta anni la vincitrice è solo e sempre lei, con una interpretazione quasi improvvisata, senza una grande preparazione, quasi buttata lì al centro del campo di gioco, all’ultimo minuto.
Con una partitura riadattata ad un tempo di 4/4 per consentirle di esplodere tutta la potenza della sua voce, ha cantato le sue parti così, senza sforzo, saltando da un’ottava all’altra con la stessa naturalezza con la quale un bimbo gioca con la sabbia e con un fa5 nell’acuto finale da far venire i brividi.
Lei sarà sempre così, lo disse pure Mina, baciata dal dono della inarrivabilità.
Whitney Houston.
(Il video è stato tratto dal seguente indirizzo youtube: https://youtu.be/uAYKTMQl7MQ)