Evangelos Odysseas Papathanassiou

Quelli della mia generazione lo iniziarono a conoscere nei primi mesi del ’68. Il gruppo era quello degli Aphrodyte’s Child composto da tre ragazzotti greci che erano approdati in Francia alla ricerca di successo per i loro virtuosismi musicali.

In effetti erano quattro, ma uno si perse per strada per ragioni di obblighi di leva militare, e la destinazione era Londra ma nello scalo a Parigi furono invece trattenuti per irregolarità dei loro documenti.

Fu così che assieme a Demis Roussos e a Loukas Sideras iniziarono la loro carriera musicale facendosi conoscere per il loro sound particolare nel quale il sapore mediterraneo delle loro radici elleniche era certamente il gusto caratterizzante.

Quegli anni turbolenti, specie a Parigi, furono forse la loro fortuna perchè Rain and tears, il loro brano di esordio, con il suo sapore malinconico ispirò l’anima idealista dei giovani di allora e fu così che quella melodia romantica, composta sulla base del seicentesco Canone in re maggiore dell’abate tedesco Johann Pachelbel , divenne l’inno del “maggio francese”.

(il video è tratto dal seguente indirizzo: https://youtu.be/YQyxCL1uMlU)

Quelle che seguirono furono vere hits come It’s five o’ clock e Spring Summer Winter and Fall conosciute in tutto il mondo.

Nel 1971, dopo aver anche segnato una collaborazione con Irene Papas, il gruppo si sciolse e mentre Demis Roussos avviò la carriera da cantante solista Evangelos si dedicò alla composizione e all’arrangiamento musicale.

Nei primissimi anni produsse alcuni dei suoi album più famosi, come Heaven and hell, Spiral e China .

Iniziò inoltre a collaborare con alcuni artisti italiani, in qualità di arrangiatore. Fu determinante per la realizzazione di veri successi. E tu di Claudio Baglioni e Concerto per Margherita di Riccardo Cocciante furono segnati dal suo innegabile  influsso e le melodie delle tastiere richiamavano quelle già utilizzate dagli Aphrodite’s Child.

Ben presto però venne scoperto dal mondo della celluloide e nel vasto e difficile tema delle colonne sonore il suo  successo divenne un fiume trovolgente. 

Da Blade runner a 1492- La conquista del Paradiso, per finire a Momenti di gloria con il quale vinse l’Oscar fu presto conosciuto in tutto il mondo come uno dei compositori di soundtrack più bravi e talentuosi.

Compose anche l’inno dei mondiali di calcio del 2002 e successivamente tornò al cinema con il film cult Alexander di Oliver Stone.

Con una miriade di altre composizioni e creazioni musicali la sua marcia sembrava inarrestabile, ma il male del terzo millennio non ha guardato in faccia nessuno e il 19 maggio 2022, si dice per complicazioni da Covid, è scomparso Evangelos Odysseas Papathanassiou che voi avete conosciuto come Vangelis.

(il video è tratto dal seguente indirizzo:  https://youtu.be/PZnodJJ7l_I)

 

 

 

 

THE STARS SPANGLED BANNER

è l’inno nazionale statunitense, il national anthem. 

A differenza nostra gli anglosassoni hanno un forte senso della identità nazionale e un sacrale rispetto per le istituzioni e i simboli che le rappresentano.

Una delle colpe che il presidente con i capelli gialli pagherà per tutta la vita è proprio l’attacco dissacrante alle istituzioni, i giorni successivi allo spoglio elettorale, e l’assalto delle sue orde animalesche al Campidoglio con i piedi sulle scrivanie e le bandiere usate a mo’ di tovagliolo.

Un vilipendio alle istituzioni che il popolo americano non gli perdonerà mai.

Forse noi non riusciremo mai a capire la profondità di questo senso civico ma del resto è proprio in Italia che nelle aule parlamentari energumeni chiamati deputati hanno introdotto scatolette di tonno, cartelli da stadio e magliette da isola dei famosi, insomma roba da III C in gita scolastica. Ma non c’è da stupirsi.

Negli U.S.A. invece è diverso e tra i simboli sacri del popolo americano c’è ovviamente l’inno nazionale.

E così come noi lo cantiamo in piedi e con il dovuto rispetto solo allo stadio, sbeffeggiandolo o fregandocene altamente, invece, se lo ascoltiamo mentre stiamo al bar, oltre oceano quando suona l’inno, ovunque succeda e con  chiunque sia presente, è sempre un momento di composta solennità o profonda emozione.

Non è estraneo a tutto ciò il mondo della musica e quando un cantante viene invitato a interpretare l’inno a uno degii eventi sportivi di spicco, qual’è per esempio il superbowl, l’emozione è quasi più grande di quella di vincere un Grammy.

Anche perchè l’inno U.s.a. è difficilissimo e mette a dura a prova le capacità di qualunque star della canzone per il salto di 2 ottave che c’è nella sua partitura.

Gli americani amano fare le classifiche su tutto, anche su quale gomma da masticare si appiccica più fortemente all’asfalto, e ovviamente ci sono tante classifiche sulle migliori interpretazioni del National anthem al Superbowl. 

https://nypost.com/article/the-10-best-super-bowl-national-anthem-performances/

https://www.rollingstone.com/music/music-lists/super-bowl-national-anthems-whitney-houson-10706/

A distanza di trenta anni la vincitrice è solo e sempre lei, con una interpretazione quasi improvvisata, senza una grande preparazione, quasi buttata lì al centro del campo di gioco, all’ultimo minuto.

Con una partitura riadattata ad un tempo di 4/4 per consentirle di esplodere tutta la potenza della sua voce, ha cantato le sue parti così, senza sforzo, saltando da un’ottava all’altra con la stessa naturalezza con la quale un bimbo gioca con la sabbia e con un fa5 nell’acuto finale da far venire i brividi.

Lei sarà sempre così, lo disse pure Mina, baciata dal dono della inarrivabilità.

Whitney Houston.

 

(Il video è stato tratto dal seguente indirizzo youtube: https://youtu.be/uAYKTMQl7MQ)

NEWYORKESE

d.o.c, di Brooklin, va in giro nel mondo dello spettacolo da piu di 60 anni.

Non aveva ancora 20 anni quando esordi nel pantheon della canzone della east cost.

Ma approdò presto al cinema e nel mondo della celluloide realizzò il suo talento mescolando la sua eccelsa ispirazione musicale con una capacità recitativa straordinaria.

Esordì subito con il successo e Funny Girl la consacrò a star indiscussa dello show d’oltreoceano.

Hello Dolly, Ma papà ti manda sola sono alcune delle perle di una carriera straordinaria che l’ha vista vincere di tutto, Oscar, Grammy, Emmy, Golden Globe.

The way we were (Come eravamo), con Robert Redford, la consacrò al film d’autore magistralmente diretti da Sidney Pollack.

 

(Tratto dall’indirizzo youtube: https://youtu.be/jT0IXTXAnmo)

Poi ha superato sé stessa quando ha fuso in un unico genio l’arte della interpretazione, del canto, della regia, della sceneggiatura mescolate con il meno nobile senso degli affari, proprio della produzione cinematografica.

È nata una stella è stato un film di tale successo che recentemente ne è stato prodotto un remake interpretato da Lady Gaga, A star is born.

Il thema del film, Evergreen, è il brano nel quale il suo talento si manifesta nella forma piú eccelsa e con il quale mostra un dominio della voce e della musicalità totale.

Oggi compie 80 anni e non ha mai smesso di stupire il mondo con la sua arte e la sua bravura.

Auguri Barbra Streisand.

Il video è tratto dal seguente indirizzo youtube: https://youtu.be/OfQi6HSUDCw

 

 

 

 

IL TEMPIO DEL WALZER

Seguo con puntalità il Concerto dei Wiener Philarmoniker da un cinquantina di anni, forse più, e ricordo direzioni eccelse come quella di Abbado che diresse a memoria e senza spartito.
Diversi anni fa, quando per la inaugurazione del ricostruito teatro veneziano la Fenice l’allora Presidente Ciampi volle che a capodanno il concerto ufficiale degli italiani fosse celebrato sulla laguna, la cosa mi indispettì non poco.
E non per esterofilia melomane (sindrome della quale invece soffro riguardo alla musica contemporanea) ma perchè, pur apprezzando il talento e le virtuosità della composizione classica italica, il concerto di capodanno è quello di Vienna.
Perchè è una questione di atmosfera, è questione di appropriatezza del genere musicale, di ambiente, di colori, di scenario.
A parte il verdiano “Brindiam” della Traviata (il cui significato autentico è però apparentemente allegro ma sostanzialmente drammatico) le note dell’Aida, di Và pensiero o del Nessun Dorma, ci azzeccano poco con la allegra festosità del capodanno cui invece le spumeggianti melodie straussiane rendono la sua giusta atmosfera.
E non tiriamo fuori, per favore, i temi di un inappropriato neo irredentismo scandalizzandoci per Radetzki o roba del genere.
Strauss (in questo caso tra l’altro il padre) era austriaco ed era naturale che celebrasse i miti del suo popolo, così come noi celebriamo i nostri, in Francia celebrano il galletto e Marianna, e in Inghilterra la Regina.
E poi il valzer è stata una vera rivoluzione di costumi, demolendo i moralismi dell’epoca che guardavano con scandalo ad un uomo ed una donna che danzavano abbracciati, adusi a quadriglie e minuetti in cui il contatto più carnale era in punta di dita.
Resta il fatto che certi eventi vengono celabrati in maniera adeguata in un solo modo, in un solo posto, in solo giorno e vi trovano così la loro naturale identificazione.
E allora così come il Carnevale è solo quello di Rio, per i ritmi, i costumi, i coriandoli, la sinuosità del samba, il Capodanno, per la maestosità della sala (che tra l’altro ho visitato), per l’eleganza del Musikerein, per la spettacolarità delle coreografie nei palazzi viennesi, per il carattere festoso delle melodie, è solo Vienna…il resto sono solo improbabili cover.

NATO A LONDRA

l’8 gennaio del 1947, è paradossalmente scomparso due giorni dopo, il 10 gennaio, ma del 2016, a 69 anni a New York, dopo 18 mesi di guerra contro il male del secolo.
È stato da più fonti considerato il personaggio musicale più significativo del XX secolo.
David Robert Jones è stato un polistrumentista, compositore, cantante ma anche pittore e attore, ruotando a tutto tondo nel campo dell’arte.
Il suo successo e la sua lunga carriera sono testimoniate non solo dalle vendite strabilianti dei suoi dischi ma anche dalle risorse accumulate ponendolo, a detta di Forbes, tra i 5 artisti più ricchi del mondo.
Space Oddity, Fame; i suoi successi sono talmente tanti che provare a citarne qualcuno ha il sapore dell’insulto per quelli taciuti.
Ma bisogna celebrare il personaggio perchè il Duca Bianco, che ha cavalcato imperioso le praterie della musica senza temere di doversi adeguare al trascorrere del tempo e di sperimentare nuovi stili e nuove tecnologie affrontando la modernità con il suo intramontabile successo, non è uno dei più grandi: è lui, è fuori concorso e basta.
E allora mi piace ricordarlo con questo video, nel ricordo di un suo amico, un’altro grande, con il quale compose così, quasi per gioco, quella che è rimasta una hit impareggiabile.
La cantò in pubblico per la prima volta a Wembley, al Freddie Mercury Tribute Concert nel 1992, duettando con un’altra grande, Annie Lennox, e accompagnati dagli stessi Queen, orfani di Mercury.
La canzone, inizialmente chiamata People on Streets, è conosciuta con il titolo di Under Pressure.
Cantano David Bowie e Annie Lennox.

(Video tratto dal seguente indirizzo: https://youtu.be/fCP2-Bfhy04)

DIECI ANNI – 11.2.2012

Il suo nido fu la parrocchia, il suo vento furono i gospel e fu subito tra le nuvole, senza incertezze, senza esitazioni.

La gabbia venne dopo. Il business, il successo, il pop. “Devi sfondare nel mercato bianco,” le dissero.

Allora tra bianchi e neri c’erano ancora pesanti distinzioni e quel che facevano i secondi non era amato dai primi.

Furono subito record, rimasti sempre imbattuti. E poi venne la celluloide e come nei film accadde l’inimmaginabile. Nessuna come lei, ancora oggi.

Ma l’uccellino in gabbia sapeva che volare non era una malattia.

“Try it on my own” fu il simbolo di quell’epoca. “Provo a fare da sola, a modo mio”.

Al diavolo i discografici, al diavolo le giurie, al diavolo la critica. Rimasero lei, il suo pubblico e la sua musica. Ma l’acuto centrale di quella canzone e il salto di tre ottave con un nota sola furono il simbolo di nuove e più grandi conquiste e giunsero successi ancora più immensi.

E fece di tutto. Soul, blues, r&b classico e contemporaneo, gospel, la lirica con Pavarotti, cantò Gershwin, Bacharach, l’inno nazionale, il thema delle olimpiadi e dei mondiali di calcio, cantò per Mandela in Sudafrica, nei giorni della sua liberazione, quando per i neri era ancora difficile vivere e per i bianchi era troppo facile sparare. Ovunque vennero giù le tribune e gli stadi furono pieni per settimane intere.

L’uccellino era tornato a volare. Ma tra le nuvole ci si poteva perdere.

“Can i be me”, disse. Non si ritrovava più. Molte cose crollarono, quelle della vita semplice, la famiglia, l’affetto paterno, la mancanza di normalità, l’amore.

“I look to you” sembrò la rinascita e che tutto fosse passato.

Ma non era vero.

E così l’usignolo del mondo volò in cielo, per non tornare più.

Lasciò il mondo più povero e la musica, che in vita la temette d’esser vinta, ora senza di lei teme d’esser morta, per sempre.

Ciao Whitney.

(Video tratto dal seguente indirizzo: https://youtu.be/8v5AexgDmoA)